sabato 24 aprile 2010

La parola e il silenzio ...

sono strumenti di comunicazione. E l'una e l'altro possono 'dare qualcosa' oppure 'dare nulla': paradossalmente la parola può essere 'vuota' e il silenzio 'pieno' (il necrologio di Sandra Mondaini è esemplare).
La parola può essere potente: è molto più capace delle armi di fare breccia (Erri De Luca). Roberto Saviano afferma che la parola ha la capacità di dare cittadinanza universale a quelli che prima erano considerati argomenti particolari, lontani, per pochi. Ma affinché ciò possa accadere la parola deve essere profondamente vera, pronunciata dalla voce giusta e nel momento opportuno. Cioè, la parola in sé è nulla se non incardinata su colui che la proferisce, e se non usata con riconoscimento e rispetto del suo profondo valore, anzi mistero.
L'Italia del 2010 appare 'triste'. L'autore sostiene che solo la parola vissuta come modo per condividere, per aggiustare il mondo, per capire, solo mostrando e facendo vedere la verità, si possa dare dignità al nostro Paese. E ciò può avvenire attraverso un movimento culturale e morale che spinga a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale della indifferenza della contiguità e quindi della complicità.
Non tutte le parole, però, hanno un simile potere. Oggi la parola è abusata e consumata: siamo in un tempo ciarlatano, in cui le parole vengono pronunciate e smentite il giorno dopo. Queste parole qui contano esattamente lo sputo, il fiato che ci vuole a pronunciarle e scadono subito dopo (Erri De Luca).

sabato 3 aprile 2010

E' potente la prassi di celebrare ...

... religiosamente le tappe della vita umana, dalla nascita fino alla morte. Il ritmo dei fenomeni naturali trova forte concordanza con i riti religiosi dell'anno, sempre posti - questi ultimi - nei momenti di passaggio delle stagioni.
Il linguaggio della religione pervade la nostra vita, fornisce vocabolario e occasioni per la sua espressione.
Gianfranco Formenton, con particolare riferimento alla realtà italiana, si focalizza sulla dimensione 'identitaria' del cattolicesimo 'prendendo per le corna' il tema. Il cattolicesimo emerge come potente criterio di definizione dell'appartenenza: rientrare nei suoi 'sacri confini' significa 'essere a posto', 'essere nel giusto', quindi risultare migliori di chi non lo è. Ecco che diventa più facile aderire che non aderire.
La funzione della religione non può esaurirsi nel fornire un riferimento identitario: solo l'insieme dei diversi aspetti, adeguatamente collocati, conduce ad una visione completa e consistente.
Constato una flebile volontà di effettuare i necessari distinguo, mettendo al loro posto le diverse istanze. Evidentemente l'indistinto non disturba, anzi risulta funzionale.
A me, invece, questa situazione crea disagio. Certamente non accetto di essere considerato migliore o peggiore degli altri in virtù della mia adesione o appartenenza a qualcosa. Questa è una forma di xenofobia.