venerdì 19 novembre 2010

Il tempo del limite

Le risorse naturali si stanno esaurendo, non c'è posto per i rifiuti, le casse dello stato sono vuote, mancano i finanziamenti, non si arriva a fine mese.
Il 'limite' si presenta ineluttabile di fronte a noi. Rimaniamo disarmati, disorientati. Eppure il limite è costitutivo della vita, dell'essere umano.
La cultura occidentale, quella che ci ha alimentato, è più orientata al fare che all'attesa, al parlare che al tacere, al 'fuori' che al 'dentro', allo straordinario che al quotidiano; una cultura che si presenta ambiziosa e presuntuosa, sempre proiettata verso la crescita e lo sviluppo. Il limite è esorcizzato, è tabù. Lo dimostra - come affermano Ilvo Diamanti e Luce Irigaray - l'annullamento del silenzio: nessuna indulgenza e nessuna tolleranza, occorre sopirlo in fretta, anche di fronte alla morte.
Ma, oggi, il limite si pone inesorabilmente di fronte a noi, risulta inevitabile, non riusciamo più a tenerlo a bada. E la nostra cultura è disarmata e inattrezzata ad affrontarlo, rischiando di soccombere di fronte alle sue richieste. E' il declino.
Dovremmo cambiare punto di vista, cercare altri riferimenti. 'Abbassare il tiro', arretrare, fare un passo indietro. Fermarsi.
Non sarà una soluzione, ma sicuramente rappresenta una salutare boccata d’aria fresca il semplice restare lì, fedeli nel poco: tener conto degli altri, accettare di condividere ciò che si possiede, affrontare la sofferenza, il dolore e la morte come parti integranti di una vita che vale la pena di essere vissuta; oppure l’umile bellezza del vivere gli uni accanto agli altri e gli uni con gli altri, solidali nel condividere la comune umanità. E' - sostiene Enzo Bianchi - la grandezza dei piccoli gesti quotidiani: uno sguardo, un tocco delicato, una parola sommessa, un pasto preparato con cura.

Foto: limite

sabato 6 novembre 2010

L'ideologia della condivisione

Bisogna condividere. E' un imperativo, un assoluto.
Questo concetto ha avuto fortuna nell'ambito del cattolicesimo, in particolare del cosiddetto catto-comunismo - pensiamo alla fortunata frase di Tonino Bello 'convivialità delle differenze' - per arrivare poi a permeare il gergo quotidiano, anche quello professionale e istituzionale.
Il significato etimologico rinvia alla "adesione, partecipazione a idee o sentimenti altrui". Insomma, allo stare e al sentire in profondità l'altro per quello che è; un atto, insomma, di profondo riconoscimento.
Il termine appare oggi usurato, abusato, svuotato; ha perso consistenza diventando mera tecnica per stare ed agire efficacemente 'dentro le cose di questo tempo': l'altro e la sua diversità, di fatto, non sono valore ma ostacolo da aggirare abilmente.
Il nostro tempo, articolato e complesso, ci pone inesorabilmente di fronte al concetto di limite: l'attrezzatura teorica per affrontare la diversità, come afferma Umberto Curi, si sta clamorosamente indebolendo, al suo fascino si sostituisce un senso di nausea e di estenuazione. Non reggiamo più la diversità e abbiamo il bisogno di allontanarla, tenerla distante, anche negarla. La democrazia stessa, afferma Angelo Panebianco, risulta incapace di contenere tutta questa quantità e qualità di diversità.
Lungo il mio percorso spesso ho tentato di mettermi di fronte alla diversità: in alcuni casi ci sono riuscito, in altri ho fallito. Sicuramente non ci sono riuscito con gli zingari: mi sono accostato a questo 'mondo', ho provato a starci dentro sentendomi più tollerato che accettato, fino ad arrendermi accettando di non stare dove nessuno mi voleva.
Non ritengo sia un dramma non riuscire ad accogliere la diversità, è più pericoloso assumere una posizione ideologica: dal 'dagli allo straniero' all' 'amore incondizionato senza se e senza ma'.