venerdì 23 dicembre 2011

L'amore agito

Nessun ‘educatore’ è stato importante nella mia vita.
Ne ho incontrati molti lungo il mio cammino. Hanno rappresentato, sì una fonte di informazione, sì una occasione di confronto ed elaborazione, ma non sono mai diventati dei maestri di vita.
Nessuna azione educativa e, aggiungo, di cura può essere efficace se limitata all’esercizio di tecniche, magari eccellenti, aggiornate, anche certificate. Ecco la diffusione degli educatori professionali, dei professionisti della solidarietà, per non parlare dei professionisti della pace, compresa quella armata.

lunedì 12 dicembre 2011

Passaggi in vita

Mi piace assistere ai passaggi della vita, tutti: quelli attesi e quelli imprevisti.
Mi piace osservare come l’essere umano affronta le stagioni della vita e ogni sua singola fase che ha sempre un inizio, uno sviluppo e una fine.
C’è il complessivo ciclo di vita biologico misurato dall’età anagrafica, e ci sono singole fasi connotate più ‘mentalmente’ che ‘fisicamente’. Generalmente si riconosce la fase scolastica, quella riproduttiva, quella fisica ed estetica, quella professionale, quella intellettuale. Ogni fase, salute permettendo, dura qualche decennio. Entrare e uscire da queste fasi non è né scontato, né indifferente: non è detto che vi si entri, ancor meno che se ne esca indenni.
Anita Ekberg (80) e Laura Antonelli (70), nei loro corpi sciupati, appaiono lontane dagli antichi splendori; Diego Armando Maradona (51) e Paul Gascoigne (44) con la fine della carriera sportiva sembrano aver dato un calcio alla vita; non hanno retto il successo neppure George Michael (48) e Gianluca Grignani (39).

mercoledì 30 novembre 2011

La scorciatoia della volgarità e del perbenismo

Accolgo la provocazione di Franco Bolelli apparsa su facebook qualche giorno fa. Naturalmente il riferimento è il confronto fra ‘berlusconismo’ e ‘montismo’: sono esemplari le immagini circolate sui media in queste settimane relative a stili e sembianze di premier e ministri; estremizzando: il modello ‘volgare’ versus quello ‘perbenista’.
Appunto, siamo sicuri che intraprendere la via opposta sia la soluzione?
Il tempo ci dirà se l’azione di Monti e del suo governo si esaurirà nel perseguimento del giusto contrario, oppure si rivelerà una coraggiosa elaborazione dei bisogni della realtà. Le conseguenze le verificheremo direttamente sulla nostra pelle.

sabato 19 novembre 2011

Ripartire dal 'margine'

Il ruolo di genitore mi porta a stretto contatto con l’istituzione ‘scuola’. Ho incontrato scuole materne ed elementari. L’esperienza, per quanto parziale, mi ha fatto intravedere due tipologie di istituti scolastici: quello ‘centrale’ e quello ‘periferico’.
L’istituto ‘centrale’ (logisticamente situato nelle aree più residenziali) presenta i tratti della professionalità e dell’avanguardia; adotta linguaggi moderni e ricercati, gli stessi presenti nelle riviste specializzate; pullula di iniziative parascolastiche rigorosamente innovative. L’obiettivo è chiaro: fornire ai ragazzi saperi e competenze al passo con i tempi, adeguate ad affrontare il futuro e, allo stesso tempo, rassicurare i genitori che i loro figli saranno aiutati ad emergere nella competitività del mondo contemporaneo. Grande sintesi di ciò è la definizione di scuola delle tre ‘i’: inglese, impresa e informatica.

venerdì 21 ottobre 2011

Voglia di leggerezza

Basta, basta, basta.
Una parola ripetuta più volte in modo secco e ritmato.
Il messaggio è arrivato diretto, chiaro, senza possibilità di replica e discussione. E' tempo di mollare la presa, di lasciare andare le cose, di fidarsi di ciò che avviene.
Questa situazione mi ricorda la reazione di un ragazzino qualche decennio fa di fronte alle mie sollecitazioni: "Basta, non voglio più pensare!".
E' il raggiungimento del limite dell'andare a fondo delle 'cose', dell'analisi e dell'approfondimento: non è necessario capire tutto e tutti. La vita fa il suo corso, indipendentemente da se stessi e dalla consapevolezza. Anzi, l'attività di pensiero può essere ridondante, distorsiva, bloccante, ostativa del procedere, dell'evoluzione
Tutto ciò è spiazzante.

martedì 11 ottobre 2011

Due pesi e due misure

Il mondo è iniquo.
I declamati principi che dovrebbero caratterizzare le società occidentali, dalla libertà all’uguaglianza, dalla fraternità alla solidarietà, si riducono a puri auspici, inattuati, forse irrealizzabili. Parlare e riferirsi a questi principi appare retorico e ideologico, lontano mille miglia dalla realtà.
Non è più eludibile l’esistenza di ‘due pesi e due misure’. È sotto agli occhi di tutti la tutela dei potenti e la vessazione dei deboli, di coloro che sono impossibilitati a difendersi, incapaci di far sentire la loro voce; sono manipolabili e gestibili, inclini quindi a digerire bocconi amari, predisposti a prender su di sé pesi, anche quelli altrui. È asimmetria vera e propria. Sopportata, quasi accettata.

mercoledì 21 settembre 2011

L’impotenza di fronte al ‘crollo’, la speranza della ‘festa’

La ‘storia’ che viviamo appare colpita a morte, dentro un disfacimento che accelera giorno dopo giorno. È irrimediabilmente rotto il ‘ritmo delle cose’. Ogni intervento, presentato come risolutivo, si consuma nel nulla senza un effetto sostanziale. Siamo arrivati a mettere in discussione ciò che è sempre stato considerato un punto di non ritorno: l’illusione dello sviluppo ha lasciato il posto alla decrescita. Cominciano ad essere intaccate le disponibilità economiche e con esse il potere di acquisto. Ora ci attente una stretta sui servizi pubblici. E siamo solo all’inizio.
Siamo avviati inesorabilmente verso la chiusura di una fase storica, forse di un’epoca.

venerdì 9 settembre 2011

Ma che czz avete dentro!?

È l’accalorata esortazione di Simone Pianegiani, c.t. della nazionale di pallacanestro, ai suoi giocatori nel corso del time out dell’incontro contro Israele di qualche giorno fa: “Bisogna giocare con un po’ di dignità! Con un po’ di anima! Facciamo a cazzotti, almeno. Ma che cazzo avete dentro!?
Osservo me stesso e chi mi sta attorno. Che piaccia o meno ogni cosa è espressione delle persone: fatti e parole, ma anche atteggiamenti e artefatti, ciò che contorna e adorna. Tutto.
L’aspetto più ambiguo è la parola: non è detto che ciò che esce dalle nostre labbra corrisponda a ciò che siamo e facciamo; spesso non diciamo proprio nulla, evitiamo, non ci sbilanciamo, anche ci nascondiamo.

domenica 21 agosto 2011

La bellezza della debolezza

Nutro un profondo rispetto nei confronti di coloro che riescono a stare ritti di fronte al proprio sentire e al proprio fare, in particolare rispetto all’emergere della propria debolezza. Il limite, benché nascosto, eluso, anche negato, è costitutivo dell’essere umano ed è foriero di sofferenza, fisica e psichica.
Riconoscere emozioni, impulsi e desideri rappresenta, quindi, un atto di realtà, significa stare di fronte a se stessi per quel che si è: dotati di energie e risorse, anche abilità, ma limitati, bisognosi del contributo altrui, insomma incapaci di bastare a se stessi. A queste condizioni, cioè solo dentro questa visione, la debolezza può apparire anche ‘bella’.
Emblematiche sono l’outing di Vasco Rossi rispetto alla malattia mentale e il racconto delle frequentazioni transessuali di Piero Marrazzo.

venerdì 12 agosto 2011

“Forme di vita”, tra realizzazione e fallimento

Che cosa definisce la realizzazione oppure il fallimento di una vita?
Anders Breivik, il pluriomicida norvegese, ha scritto nel suo diario: “se sentissi che qualcun altro potesse portare avanti la mia missione, mi dedicherei a crearmi una famiglia e a sviluppare una carriera professionale”. Questa affermazione coglie due dimensioni fondamentali della vita: il mondo degli affetti e quello degli affari, il fondamentale bisogno di amare e quello di fare.
Ma come coniugare questi due verbi? Sotto quale forma esprimerli nel corso della vita?

venerdì 22 luglio 2011

Rischio deumanizzazione, gli effetti della ‘crescita’

Perché viaggiare? Perché mettere i piedi nei posti più remoti della terra?
Ho recentemente posto questa domanda ad un vecchio viaggiatore con un passato di alta responsabilità nel settore bancario. La risposta è stata: cerco l’incontro con le persone, l’umanità perduta.
Non c’è dubbio che siamo arruolati, inscritti in sceneggiature vincolanti, forzati a seguire cliché. Ogni variazione al definito risulta difficile. E una volta in scena, possiamo competere per l’assunzione dei ruoli disponibili, ma non cambiare il canovaccio. Non determinarne gli esiti. Le cose vanno come devono andare e noi con loro.

domenica 19 giugno 2011

Decadimento fisico

Il tempo lascia i suoi segni. Li depone in ogni forma della natura, ancor più negli esseri viventi tra cui l’essere umano. Il decadimento fisico inizia quando si è ancora ventenni.
Osservo i volti di coloro che si muovono attorno a me e vedo i segni del tempo e della vita: il raggrinzimento della pelle prende il sopravvento sull’originaria freschezza, l’appesantimento delle membra tradisce l’antico slancio e tono. Lo scenario si intristisce. Gravano più le sollecitazioni della vita che l’esposizione al tempo: il vissuto preme sulle ossa, erode i tessuti, lasciando tracce e solchi sempre più evidenti.

lunedì 6 giugno 2011

Il delitto di ‘lasciar correre’, il dovere del riconoscimento e della riconoscenza

Sventola alto dal mio poggiolo il tricolore.
Sento il dovere di celebrare la vita, in particolare le vicende significative incontrate lungo il cammino. L’inizio e il fine vita sono i capisaldi, ma anche ciò che ha segnato una discontinuità tra il prima e il dopo. Contestualmente vivo con imbarazzo e disagio la stanca ritualità, spesso svuotata di significato, ridotta a bassa retorica, a mero trascinamento del passato.
Celebrare è un atto di riconoscimento e di riconoscenza.
Riconoscimento che l’essere umano e le sue vicende sono un valore assoluto, indicibile e incontenibile. Siamo frutto di ciò che ci ha preceduto e responsabili di interpretare il pezzo di strada che ci è concesso di vivere, per passare poi il testimone a chi ci succederà. Abbiamo il compito di fare la nostra parte, là dove ci troviamo e per quel che possiamo. Ed è ‘bello’ che ciò venga riconosciuto e non dato per scontato, gustato e non oltrepassato disinvoltamente, vissuto e non consumato svogliatamente.

sabato 7 maggio 2011

Nostalgici e sciacalli

Non mi coinvolge l’esultanza per la morte di Bin Laden, neppure il clamore per la beatificazione di Giovanni Paolo II°, non mi emoziona il wedding reale d'Inghilterra. Sento lontane queste celebrazioni, ancorate ad un passato che non ha futuro. C’è bisogno d'altro.
Evocativa è la vignetta riportata a fianco. L’individuo rimane inevitabilmente radicato alla sua storia e, come sostiene W.B. Arthur, dipende molto dal cammino (path dependance). È decisivo ciò che ognuno ha attraversato lungo la sua via: gli odori, l’aria, il clima e con questi le emozioni scaturite dallo stare dentro i personali e collettivi eventi vissuti. Insomma, una volta messe radici, viene assunto un punto di vista partigiano di vedere se stessi e tutto quello che sta attorno. Ciò vale anche per le vicende della collettività, per le epoche della storia.
Il Novecento occidentale ha sviluppato il suo punto di vista a partire dall'esperienza nazi-fascista. Le ideologie, i valori, gli ordinamenti nazionali e internazionali sono stati forgiati a partire da quell’esperienza. Ecco per noi italiani l'ordinamento costituzionale.

venerdì 22 aprile 2011

Disuguali

Tremavo di fronte alla necessità di dover dare il nome a mio figlio. Nell'azione del nominare sentivo tutta la responsabilità dell’averlo messo al mondo. Non ho potuto non farlo, ma sentivo forte la sfida della vita che si apriva per lui e per me con lui. Come afferma Claudio Magris il nome è il segno di un unico e irripetibile individuo.
Dare il nome è un gesto potente. Segna il passaggio in vita, l’avvio di una storia che, benché destinata a finire e a perdersi nella memoria, segue la sua strada, più o meno compiuta, più o meno decifrabile. Ogni nome fa il suo percorso: alcuni non fanno il tempo di apparire che se ne vanno, altri rimangono al palo, altri ancora riescono ad acquisire peso e significato.

mercoledì 6 aprile 2011

Le ragioni dell’altro nel ‘regime di cristianità’

Sono nato e cresciuto nel 'regime di cristianità'. Ne sono stato anche un esponente, ricoprendo ruoli che ho provato ad esercitare al meglio, per quel che ho potuto e finché ci sono riuscito.
Quello che sono è frutto di questa storia che vivo con ambivalenza e disorientamento, talvolta con imbarazzo. Mi risuonano forti le parole di Vasco Rossi riportate in una recente intervista: "Io vengo da un’educazione cattolica ed è andato tutto bene fino a quando a dodici anni sono andato in un collegio di preti e ho conosciuto l’istituzione Chiesa: lì è saltato tutto".
Io non ho fatto saltare nulla, ma sento chiaro il rischio di deragliare: i binari non sono idonei a farmi proseguire. E di fronte al cieco trascinamento di ciò che si è sempre fatto, ovvero di fronte all’ostinazione a continuare come se nulla fosse accaduto, ho mollato la presa. Mi sono fermato. Rimasto sulla soglia, impietrito e impotente, assisto al lento e inesorabile venir meno dei riferimenti di una vita, i miei e quelli di coloro che mi hanno preceduto, di generazione in generazione.

martedì 22 marzo 2011

Presuntuosi e incapaci, siam fatti così

Certo le circostanze non sono favorevoli ...
e quando mai?
bisognerebbe … bisognerebbe niente
bisogna quello che è, bisogna il presente

Siamo costantemente sottoposti a pericoli. La fragilità è costitutiva dell’esperienza umana. Essere e agire comporta di per sé l'assunzione di rischi.
Le centrali nucleari rappresentano un'importante fonte di approvvigionamento energetico e contestualmente un pericolo per la salute umana. Ne intuisco il valore e i rischi.
Interpreto l''evento giapponese' nel seguente modo: si è verificata una possibile, benché remota, situazione che ha prodotto effetti catastrofici. Purtroppo è accaduto. Si può solo provare a ridurre il danno e imparare dall’esperienza.
È triste osservare ciò che si è mosso tutt’intorno. Venuta meno la possibilità di negare l’evento, non potendo ‘far finta di nulla’, siamo (s)caduti nella critica della tecnica e del progresso, cercando il colpevole: chi ha costruito la centrale, chi l'ha gestita, chi l’ha voluta, fino a chi ha deciso la politica energetica. Abbiamo avuto bisogno, insomma, di individuare un colpevole per giustificare l'accaduto, soprattutto per esorcizzare il rischio.

venerdì 11 marzo 2011

Mettersi in gioco, al di là del vero e del falso


Con l'espressione, italianizzata, "fare l'amore", i ‘vecchi della mia terra’ non intendevano l’atto sessuale ma semplicemente l’esistenza di un legame affettivo tra due persone, naturalmente eterosessuali. Fino a qualche decina d'anni fa, infatti, il sesso fuori dal matrimonio era un tabù, quasi uno scandalo; di seguito è diventato un 'dato di fatto' per lo più negato o nascosto; negli ultimi anni è stato sdoganato e accettato, anzi chi si pone in un'ottica di deplorazione rischia di essere bollato come moralista.
Sono cresciuto dentro un contesto costituito da credenze e principi potenti. Il vero e il falso, il giusto e l’errato erano ben definiti. Pochi i margini di uscita. Benché si assista alla progressiva erosione delle credenze tradizionali, civili, religiose, politiche, scientifiche, se non al loro fallimento, persiste e resiste l'idea – come afferma Giorgio Agambenche per agire bene bisogna disporre di un sistema di credenze prefissato.

domenica 20 febbraio 2011

Stare sempre lì nel mezzo


Mi trovo a ricoprire dei ruoli, quelli che per contingenza, percorso, talvolta merito, ho incontrato lungo la mia via. Ruoli anche scomodi e subiti. Alcuni di questi presentano una forte connotazione affettiva, come quelli di figlio e amico e, nella vita adulta, di marito e genitore; altri, invece, quelli relativi alla vita professionale e sociale, sono prevalentemente caratterizzati dalla dimensione del potere.

giovedì 10 febbraio 2011

Il popolo, il suo potere e l'ordinamento costituzionale

Il consolidato scricchiola, da segni di cedimento.
Il baricentro degli equilibri geopolitici si sta spostando verso il ‘sud-est-asiatico’; il 'nord-africa' e il 'medio-oriente' sussultano rompendo equilibri decennali, quasi secolari; i paesi occidentali sono sotto pressione, evidenziando a turno pesanti crisi finanziarie; per non parlare degli spaccati della vita istituzionale italiana, inguardabili e impensabili. La realtà sta superando l'immaginazione e le istituzioni non riescono più a rappresentare e contenere l'emergente.
La parola al popolo, quindi?

giovedì 27 gennaio 2011

L’ineluttabile declino e l’attesa della speranza

Benché degradato, ambiguo e contradditorio, preferisco questo tempo rispetto a quello ingessato, fermo e immobile che ha caratterizzato i decenni passati; benché in declino e a forte rischio di 'crollo', preferisco questo tempo perché prefigura nuovi spazi, altri sbocchi, possibilità di espressione.
Proprio in questo periodo dell’anno scolastico mio figlio sta studiando il ‘ciclo della vita’ che vede agire e interagire tre tipologie di esseri viventi: i produttori, i consumatori e i decompositori. Ogni essere vivente, a sua volta, segue un suo ciclo di vita che vede il succedersi di nascita, crescita, riproduzione, deperimento fino alla morte.
Ciò vale anche per le vicende umane.
È finito il tempo dello sviluppo, è finita l’illusione della crescita illimitata, si è chiaramente avviata una fase caratterizzata da ridimensionamento, smantellamento, impoverimento. La fase storica nella quale viviamo sembra avviarsi inesorabilmente verso la fine. Siamo al capolinea.
Tutto ciò prescinde dalla nostra volontà e dalla nostra azione. È un passaggio necessario e inevitabile. E' inutile pensare di cambiare rotta; è inutile ribellarsi; è inutile ergersi a baluardo di qualcosa che non può più essere; insomma è inutile ostacolare un percorso ineluttabile. Ogni forzatura è vana, è energia mal posta, spesa inutilmente.
Non si può né bloccare né governare tale movimento, bensì comprenderlo, anche accettarlo come elemento costitutivo di una ciclicità. Non resta che prenderne atto e starci dentro, accendere la lanterna e vegliare, in attesa d’altro, di ciò che deve venire.
La fine è dramma e generatività. Stefano D'Andrea, enfatizzando questo concetto, afferma che la fine è certezza: “certezza della sofferenza ma anche certezza della speranza. Speranza di un futuro diverso dal passato”. La fine, infatti, avvia una discontinuità, implicando da una parte il venir meno di ciò che c’è, fino alla sua distruzione, dall’altra l'avvio di un processo di pulizia, di chiarificazione e purificazione: lo sgretolamento dei presupposti impliciti dell'esercizio del potere, la dispersione delle ideologie dominanti e, con queste, l’allontanamento di coloro che le rappresentano.
Non possiamo che accettare di vivere in questo tempo, coniugando il nostro contributo al movimento in essere, eventualmente anche solo per ripulire e smantellare ciò che non serve più, che non è più utile e funzionale. Ovvero accettando di attendere, mettersi da parte, lasciando che avvenga ciò che deve avvenire.

Foto: Declino

giovedì 13 gennaio 2011

La potenza e i limiti dell'implicito

Detesto i cliché, le semplificazioni, le facili valutazioni.
Abortire è un omicidio oppure un atto che riduce il danno? Avere molti figli è generosità, apertura alla vita, oppure un atto d’incoscienza? Arruolarsi, andare a combattere e, forse, morire – come è accaduto a Miotto in Afganistan – è eroico oppure buttare la vita al vento?
L’implicito è potente. Traccia i confini tra ‘giusto’ e ‘sbagliato’, impone risposte predefinite alle varie questioni della vita, definisce ‘cosa dire’ e ‘cosa fare’. Indicazioni potentissime, tali da indirizzare le scelte e i comportamenti delle persone.
La disponibilità di regole è un valore: rassicura le persone, risponde all’esigenza di sentirsi ‘a posto' con se stessi e con gli altri. Ma contestualmente le regole rappresentano un ostacolo perché impongono rappresentazioni fisse della realtà, ingessandola. Mi rendo conto dell’ambivalenza, dell’essere io stesso sia beneficiario che detrattore di queste regole: da una parte attento fruitore in modo da risultare adeguato e inattaccabile, dall'altro infastidito dalle loro maglie strette. Detesto infatti ogni costrizione, ogni limitazione della mia espressione e della mia libertà di scelta.
E' chiaro che uscire da queste maglie, cioè optare per linee di vita non allineate e distintive comporta la valutazione, la collocazione nella categoria del ‘bene’, ma soprattutto in quella del ‘male’. Non mi preoccupa la valutazione in sé, che è inevitabile, mi urta la valutazione spicciola e banale, quella che considera 'giusto' o 'sbagliato' il solo fatto di fare o non fare certe cose. La valutazione, invece, deve avvenire rispetto alla capacità o meno di sviluppare serenità e benessere, di fare scelte capaci di creare valore per se stessi e per gli altri. E ciò passa attraverso l'agire conformemente a ciò che si è in sintonia con il contesto di riferimento.

Foto: Remix Bicentenario