mercoledì 13 giugno 2012

La fine e il fine della vita

Recentemente ho percorso i viali del cimitero del mio paese natale. Quel paese che mi ha visto crescere fino ai 25 anni e, di seguito, uscire dai suoi confini. Ho scelto di vivere altrove il tempo rimanente.
Nell'attraversare il 'campo santo' la mia mente è stata taggata da incisioni e foto. In pochi istanti ha ripreso vita prepotente una memoria sopita: persone e incontri, eventi e situazioni. Storie passate, ma costitutive di quel che sono.
Ebbe sì, ho già messo da parte qualche decennio ed anch'io sono destinato ad essere riposto in un 'simil luogo'. È probabile che possa arrivare ai 60^, un po' meno ai 70^, chissà agli 80^, difficilmente ai 90^. Avendo superato i 40^ posso già considerarmi un 'sopravvissuto'.
Lungo il mio percorso ho assistito al 'fine vita' di molti e al 'venir al mondo' di altrettanti, ma, soprattutto, alcuni compagni di viaggio non ce l'hanno fatta, travolti da se stessi oppure dal contesto, anche semplicemente incappati in particolari circostanze. Per ora sono passato indenne alla selezione.
Ma vivere per vivere, cioè puntare a raggiungere un’età considerevole, può essere riduttivo. Il quanto è importante se e solo se accompagnato da un contenuto. E non è scontato.
Da giovane avevo paura di non raggiungere l'età adulta, cioè di non poter vivere le esperienze costitutive della vita umana: raggiungere l'autonomia, costruire una famiglia, generare figli, sperimentare la vita sociale, ....
Ora l'auspicio è poter assistere al 'compimento delle cose', poter arrivare a dire: 'tutto è compiuto'. Ho ben chiare le parole del nonno paterno che nella loro semplicità hanno colto l'essenziale: 'posso morire contento: i miei figli stanno bene e, a loro volta, sono stati in grado di costruire una famiglia'.
E la vita continua, di generazione in generazione. Così sia.

Foto: cimitero