giovedì 23 agosto 2012

Anima delicatissima

Con questo epiteto osava chiamarmi Sisto: vecchio, scorbutico sacerdote del mio paese natale. Al di là della corrispondenza con la realtà, mi è sempre piaciuta questa denominazione: riusciva a catturare il dolore e la gioia della fragilità umana.
La fragilità mi accompagna: la vedo, l’osservo, l’ascolto, anche la respiro. La fragilità non è eccezione ma elemento costitutivo dell’essere umano: sempre presente, benché sopita e repressa. ‘Tutto’ è strutturalmente fragile, ma rara è la consapevolezza.
Sento il valore – usando le parole di Vittorino Andreoli – di ‘svelare la fragilità, di mostrarla […] come fosse la principale identificazione di uomo in questo mondo’. Ho la convinzione che nel suo riconoscimento, nel tentativo di guardarla in faccia si sveli ‘il dolore di sopravvivere contestualmente alla gioia di vivere’, ciò che Jean-Louis Trintignant rappresenta nel film “Amour” di Michael Haneke nell’interpretare il ruolo del vecchio marito che accompagna l'amata moglie malata verso la fine della vita.
Ma nella cultura contemporanea manifestare la fragilità è atto scandaloso: è auspicabile nasconderla, prenderne le distanze, contraffarla, anche contrabbandarla come fuori da sé. Le tecniche sono diffuse ed evolute, socialmente richieste, moralmente tollerate: dai comportamenti occultanti a quelli trasgressivi, dall’assunzione di sostanze eccitanti e inebrianti agli stupefacenti, dalla somministrazione di medicinali fino al porre fine alla vita.
Quanto potente è la fragilità se si mette in campo tutto ciò pur di trattenerla, confinarla, evitarla!
Più volte ho guardato in faccia la fragilità; periodicamente la vivo sulla mia pelle; in almeno un paio di occasioni ne sono stato travolto. Recentemente, benché fuggente e fuggitiva, ho convissuto con quella altrui, talmente tanto fino alla identificazione. Ho assistito alla nuda umanità: anima tremante, equilibrio fragile, identità sofferente. Ho parimenti assistito al dolce tentativo di contenerla: caldi abbracci, tocchi leggeri, mano tese. Appunto ‘il dolore di sopravvivere contestuale alla gioia di vivere’. 

Foto: delicato

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