mercoledì 12 settembre 2012

Scomoda e affascinante consapevolezza

So che dovrò affrontare molte difficoltà. Alla malattia, mia e delle persone a me care, potranno alternarsi, colpevolmente o, per lo più, accidentalmente, eventi dirompenti. A scadenza dovrò affrontare la morte di chi mi sta vicino, finché scatterà il mio turno.
Mi rendo conto che tali concetti sono vissuti da molti come scandalosi. Non a caso gli eventi a cui mi riferisco sono comunemente denominati avversità o sventure, insomma situazioni che fuoriescono dalla normalità, quindi sbagliati, sicuramente né connaturati e né costitutivi della vita. Lo scandalo è dovuto alla rottura delle profonde difese messe in atto dalle persone. Non mi turba il vissuto di scandalo, piuttosto mi intristisce la tendenza a scaricare la propria incapacità su chi osa rompere certi meccanismi.
Ogni essere vivente si trova dentro un processo per molti versi predefinito, un ‘ciclo di vita’ che ha un inizio, uno svolgimento ed una fine. Un percorso costellato di eventi abbastanza prevedibili: tutti, bene o male, gestibili e considerati accettabili. La vita però non si esaurisce in questo. Esiste la discontinuità: eventi e situazioni che sospendono, condizionano, cambiano, anche interrompono ciò che è atteso.
L’essere umano si distingue per la potenziale consapevolezza di ciò che accade e può accadere. Conosce questa realtà, può prevederne gli eventi, può anche incidere volontariamente sugli stessi, creando le occasioni ovvero procurandole direttamente.
Benché nella prima parte della vita prevalga l’ansia dell’avanzamento e nella seconda la riluttanza al prosieguo, è evidente che si agisce e si procede come se non esistesse possibilità di cambiamento e interruzione. Finché non arriva smentita, cioè finché non si viene personalmente coinvolti, si persevera in questa idea.
La consapevolezza è scomoda: svela l’illusione di onnipotenza e inibisce le speranze di immortalità. La consapevolezza è affascinante: ancora la vita alla sua realtà e aiuta ad assegnare le priorità.
‘Star vigili nel mezzo’ è la possibilità che ci è data: parafrasando Michel de Montaigne, portare [la consapevolezza] con sé sulla spalla come i signori del suo tempo portavano sulla spalla il falcone quando andavano a caccia nei boschi e sulle rive della Dordogna per abituare se stessi e l’uccello cacciatore a stare insieme e prender confidenza l’uno dell’altro.
 

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