teatri vuoti e inutili potrebbero affollarsi / se tu ti proponessi di
recitare te
Emilia Paranoica, CCCP
Ecco i gesti, semplici, e le parole,
essenziali, del nuovo vescovo di Roma, Francesco; apparse a tutti un colpo di
spugna alla pesante e asfittica cultura dominante, sicuramente una rottura dei cliché comunicativi. Grande risonanza e
grandi speranze, probabilmente eccessive.
Che si parli di Chiesa o di Governo
Italiano, oppure di ogni altra istituzione è chiaro che c’è una diffusa urgenza
di riforme: non si sa se e come verranno realizzate e s’imporranno oppure se tutto
continuerà come fino ad ora.
Siamo abituati, infatti, a
tutt’altro. Parole vuote e inutili: consolidate sceneggiature con canovacci
predefiniti. Tutti attenti a ‘quel che si
deve dire’. La conclusione è l’esplicitazione di concetti che non
corrispondono alla realtà: se non falsi, mere meta-comunicazioni, in ogni caso
inconcludenti, certamente spersonalizzati. Conversazioni che diventano ‘recite’,
lontane da ogni forma di ‘incontro’ e ‘confronto’.
Scene ‘trite e ritrite’. Non dicono nulla, obsolete. Sforzi enormi e dispendiosi atti a ‘tenere in piedi’ inconsistenti rappresentazioni ed immagini.
Sposo le immagini evocate da Beppe
Grillo volte ad esprimere l’esigenza di ‘far piazza pulita’, ‘spazzare via
tutto’; sottendono categorie e concetti volti a riconoscere l’anacronismo
dell’esistente, l’incapacità di rappresentare e gestire l’emergente. Sostanzialmente
ne condivido l’analisi: è finita un’epoca, è finito un paradigma e non è più
utile riproporre pari pari il pregresso, anzi – talvolta anche ingiustamente – ogni
cosa che ne appare ‘contagiata’ sembra compromessa.
Coloro che ricoprono ruoli
istituzionali, prevalentemente selezionati quali garanti della continuità, si
ritrovano disorientati, non riescono più a perseguire gli obiettivi
dell’istituzione. Difensivamente e, talvolta, violentando se stessi perseguono
l’inattaccabilità: posizione attendista e difensiva, coerente con l’esigenza di
difendere se stessi e l’istituzione per quel che sono, ma non di evolverle. Ecco
che la ‘vision’ arranca, la ‘strategia’ non decolla, la ‘comunicazione’ diventa
più manipolazione che valorizzazione.
Assisto impotente e scalpitante a
tutto ciò. È difficile.
Forse perché ‘non posizionato’
oppure illuso che sia arrivato il tempo del cambiamento, sento profonda
l’urgenza di mettere i piedi altrove, di staccarmi da tutto ciò, di collocarmi in
un contesto nel quale poter profondere profittevolmente capacità ed energie, ‘mettere
del mio’, provare a costruire ‘senso e significato’.
Ho l’esigenza di ripartire dall’essenziale,
dai vissuti e dalle emozioni, insomma da ‘come stanno le cose’, anche se
l’esito fosse politically incorrect, anche
se risultasse clamorosamente ‘attaccabile’.
Ebbene sì, voglio essere ‘attaccabie'.
Foto: Radici (L1030650)
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