giovedì 4 dicembre 2014

La meraviglia di un figlio

Convivo con i miei figli; assisto al loro crescere.
Osservo il progressivo definirsi: nascono che "non sono" per poi diventare "qualcuno" e "qualcosa". Quel che potranno, quel che vorranno.
Ed io qui a presenziare.
Alla nascita, eccetto il genere, tutto è novità: la "carne" con le sue fattezze, i lineamenti e le proporzioni, i tratti della fisionomia.
Non è vero che tutti nascono belli!
Resta celato l'essenziale: le energie, le capacità, l'emotività, il carattere.
Poi crescono.
Nel mio invecchiare loro definiscono se stessi; mentre io difendo l'acquisito loro si aprono al mondo. Giorno dopo giorno portano alla luce la loro distintività. Mi piace osservarli, coglierne i segni, immaginare e prefigurare chi e come saranno. Due sono i punti di attenzione: l'autonomia e le peculiarità, ovvero la propensione ad arrangiarsi ed i tratti di distintività.
L'"apertura" coabita con la "chiusura".
Ogni scelta comporta esclusione: con la crescita si definisce continuamente che cosa tenere e che cosa lasciare, quali spazi abitare e quali no; fisici e concettuali.
Il processo è vorticoso, passa attraverso fasi ricorsive: la profusione di energie, il confronto con il contesto, il riposizionano. Non è elaborazione intellettuale ma pura "prova ed errore". Learning by doing. Molti errori. Il processo è faticoso: mutazione fisica, rottura di equilibri, disorientamento di fronte all'ignoto. Entropia.
Dispendiosissimo per loro che lo vivono, ma anche per chi si trova vicino.
Decresce nel tempo il coinvolgimento emotivo dell'adulto (dalla trepidazione del parto alla meraviglia della nascita, dallo stupore quando sono piccoli alla sorpresa dell'essere bambini, fino alla novità quando sono più grandi); crescono progressivamente l'intensità e l'interazione relazionale (dall'accudimento all'accompagnamento, passando per la contrapposizione e finendo nel confronto).
Sento forte il compito di accogliere l'energia messa in circolo, spesso scagliata e dispersa; sento il dovere di rispecchiare ciò che mi viene buttato adosso, qualora possibile in modo elaborato e mediato, mai troppo reattivo. Nel confronto, spesso nella contrapposizione, vanno definendo se stessi.
Sento tutta l'ambiguità dell'essere abilitante nel mentre fungo da ostacolo.

 

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